Adele Ardigò, nata a Teramo nel 1991, propone al Museo Diotti una serie di foto davvero intrigante. Da quell'acqua – la stessa, forse, osservata, indagata pazientemente nell’arco di due estati – ha tirato fuori tutto: luci, ombre e abissi, densità plumbee e trasparenze, morbidezze sensuali – ci sono maschere e volti che sembrano corpi variamente ritratti – e riflessi pungenti, fili d'erba e misteriosi corpi celesti elicoidali, sprofondamenti ed elevazioni, esaltazioni e turbamenti, con tanta inquietudine stabilmente installata nella bellezza che si può cogliere stando sulle rive di uno stagno.
Non lo scoop dell’inatteso, ma una ricerca metodica fissata sulla soglia del visibile e dell’invisibile, soglia che è la vera sostanza materiale-immateriale del mondo. Mentre fotografa e sfrutta tutte le risorse della fotografia, ma senza artifici da photoshop, Adele, forte del talento, delle risorse tecniche e mentali di un pittore, non smette di dipingere la sua immagine della profondità, dove profondo non è ciò che s’inabissa tridimensionalmente e illusivamente oltre la superficie, ma è la superficie stessa trasparente e/o specchiante, densa, tranquilla e mutevole dell’acqua, come gli occhi di chi guarda.
Secondo le parole della stessa artista - Ho voluto indagare l’acqua come elemento senziente, cosciente, in grado di registrare e conservare segni, impronte, ricordi di ciò con cui viene a contatto, di altre parti di sé. Memoria altresì alimentata in uno scambio di messaggi invisibili, risonanze vibranti e sensazioni formali con la realtà circostante, trasmessi in un dialogo di proiezioni che virtualmente si animano nella riflettività della superficie. Al di sotto di essa, segretamente si rivela un trasparire di impressioni, composte in una stratificazione temporale, che va a tradursi nell’intrinseca profondità dell’acqua: la sua densità memoriale.
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