Traduzione, ovvero interpretazione contemporanea di un soggetto che ha le sue radici nell'antichità greca ed è stato poi variamente ripetuto in età romana, rinascimentale e neoclassica. Questa testa dal profilo greco, che presenta una linea quasi continua fra fronte e naso, è ripresa dall'Afrodite Landolina del Museo Archeologico Nazionale di Atene, copia romana di una scultura classica al cui restauro contribuì Antonio Canova. Il tipo landoliniano, dal nome dell'archeologo che scoprì l'esemplare più antico, presenta la dea della bellezza nella versione "pudica", mentre con la destra si copre il seno e con la sinistra trattiene sui fianchi un panneggio gonfiato dal vento.
L’opera fa parte di una serie ispirata alla statuaria classica con cui Tentolini attua una riflessione sui modelli classici e sui loro tipi ricorrenti, continuamente riproposti nei secoli fra originali, copie e calchi attraverso cui si perpetuano i canoni della bellezza.
E lo fa con una forte componente disegnativa, in cui il disegno non è punto di partenza, ma punto di arrivo, realizzato attraverso un mezzo alternativo e assolutamente contemporaneo: non c’è traccia di matite, carboncini o pigmenti, ma solo strati sovrapposti di reti metalliche che - sapientemente intagliati – creano un vibrante chiaroscuro.
La stratificazione di una decina di fogli di rete a maglie esagonali - sfasati, ritagliati a mano e intrecciati - diventa la trama percettiva attraverso la quale l’occhio coglie i tratti distintivi del soggetto: luce e ombra sono elementi strutturanti dell’opera, così come lo sguardo mobile dell’osservatore che – avvicinandosi e allontanandosi – riesce a cogliere il meccanismo raffinato con cui Tentolini interiorizza e dà consistenza materica a visioni impalpabili.
Una sperimentazione analoga si ritrova a fianco nell'opera Appel du vide, realizzata per l'anno leonardiano, quale omaggio al Maestro e alla sua perizia nel rendere i panneggi e - indirettamente - a Diotti. Qui però non c’è un corpo da rivestire e le pieghe diventano un puro gioco visivo realizzato “disegnando” con dieci strati di velo di tulle, un materiale leggero e semitrasparente che, ritagliato e sovrapposto, crea un aereo e impalpabile bassorilievo con un effetto di trompe-l’oeil.
Anche qui una perfetta conoscenza delle leggi dell’ottica e della luce viene messa al servizio di una tecnica di virtuosistica manualità, capace di far affiorare immagini complesse da un sapiente uso di materiali semplici. Il chiaroscuro è una questione di strati: dove la trama si infittisce nascono le ombre, dove si allenta le luci.
Dono dell'Artista, 2019