Cofanetti per riporre gioie domestiche e valigette di legno da pittore, liberi dalla loro funzione originaria, sono diventati contenitori di storie umane, piccoli-grandi drammi, raccontati attraverso la giustapposizione di cose, oggetti-ricordo, piccoli feticci e fotografie, nei quali fanno sovente capolino ordigni bellici, un passaporto bucato da un proiettile, a testimoniare il contesto storico, la guerra dei Balcani.
Sono racconti visivi concepiti tra il 1992 e il 1996 da Edin (Edo) Numankadić, uno degli artisti di Sarajevo con cui Piero Del Giudice è entrato in dialogo durante il lungo periodo dedicato alla documentazione di quel conflitto.
Sono teatrini perturbanti della memoria, spezzoni di vita pericolosamente vissuta nella guerra, oggetti sfuggiti alla distruzione e storie sottratte all’oblio, «frammenti di un tempo dissolto, di un’età perduta della innocenza», per dirla con le parole di Del Giudice, dalla cui collezione provengono tutte le scatole e valigette qui esposte, così come il grande pannello Tracce (Tragovi, 1992), non meno emblematico dell’opera di Numankadić pittore.
Il pannello è esposto nella Sala didattica del Museo: potrebbe confondersi con gli esiti del neoinformale da cui ha pur preso avvio la carriera di Numnkadić, ma è da intendere piuttosto come espressione di un “nuovo realismo”, come semplice ostensione di un tratto di strada bituminosa e materica in cui s’incrociano tragitti diversi e vite irrimediabilmente spezzate e perdute.
Lascito di Piero Del Del Giudice, 2019