Federici fu un originale pittore autodidatta. Partecipò come soldato italiano nell'Europa del Secondo conflitto mondiale e nel 1942 venne fatto prigioniero dagli inglesi e deportato nel Galles, dove rimase, tra campo di prigionia e lavoro agricolo esterno, quasi quattro anni, iniziando anche la sua esperienza artistica. I primi suoi dipinti sono databili tra il 1950 e il 1951.
Ha lasciato 40 tele; la sua pittura irrompe nel panorama artistico basso-padano per la propria estraneità. Non paesaggi, non fiori, non nature morte sul desco familiare. Partigiani, invece, feriti o deposti dalla forca; amazzoni e seduzioni; passioni sulla Croce e vanitas; la morte e l'erotismo; le rovine del passato e il potere come eterno fattore di supplizi; i pittori del Cinquecento e del Seicento come riferimenti culturali e alcuni quadri di realtà-cronaca di grande forza espressiva.
Secondo le parole di Piero Del Giudice - L'opera di R. G. Federici è un unicum, la distrugge, la ricomincia, vi riflette per mesi. La firma sigilla il quadro - sulla pietra, sul marmo, su cartiglio, su stemma - solenne e responsabile, testamentaria e autoreferenziale. L'opera è passio, applicazione dolorosa e lenticolare, processo di liberazione e identificazione, esercizio di stile e retorica, commedia umana e teatro. Inoltre, le opere fungono da autobiografia: le quaranta tele che ha dipinto nella sua breve vita sono capitoli di un ‘diario nascosto' trasmesso a noi, per apparenti enigmi, spazio dipinto disseminato di segnali, indicazioni per lo svelamento e la comunicazione di memorie e cronache.
A cura di
Piero Del Giudice
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