Guglielmo Pigozzi (Viadana, 1955), fotografo professionista dalla metà degli anni Ottanta, ha operato nel campo della fotografia industriale e pubblicitaria.
Secondo Valter Rosa, a guidare la ricerca di Guglielmo Pigozzi, è stata una meditata coscienza secondo cui la fotografia non corrisponde solo a un’impressione esterna oggettiva, non è solo l’opera di un agente potente, la luce, ma una risposta più complessa, interiore, soggettiva, una vera e propria “passione”. L’immagine fotografica allora non è registrazione meccanica e mimetica, è traccia, impronta, sedimento, ed al contempo rimbalzo, riemersione, distrazione, sovrapposizione.
Al Museo Diotti, Pigozzi propone, giocando sul doppio registro del macro e del micro, una serie di stampe digitali su grandi tele, realizzate fra il 2006 e il 2009, a confronto con foto di piccole dimensioni. Tanto il supporto, quanto la manipolazione cromatica e segnica, esaltano le qualità ambiguamente pittoriche di questi grandi lavori che Pigozzi delimita in qualche caso riproducendo fotograficamente delle cornici dorate, una sottolineatura non priva di ironia.
Intravediamo paesaggi industriali, angoli di periferie e fabbriche abbandonate, un campo di grano piegato dal vento, dettagli del selciato stradale e molte altre cose: non vedute, tuttavia, ma stati d’animo e racconti intimi, singolarmente parlanti e allo stesso tempo universali.
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